Un facile itinerario in bicicletta per tuffarsi nel verde della campagna a sud-est di Padova, ammirando in lontananza il profilo dei Colli Euganei. 44 km da percorrere in 6-8 ore circa, in un particolare territorio veneto caratterizzato da una ricca e ancora attuale tradizione contadina, frutto di duro lavoro di cui bene parla nelle sue opere Angelo Beolco, detto il Ruzzante.
Inforcata la bici a Terme Euganee il nostro giro parte in direzione Due Carrare, dove incontriamo l’antica abbazia di Santo Stefano, proseguendo poi arriviamo a Cartura, dove visitiamo la chiesa parrocchiale contenente un affresco di Giandomenico Tiepolo. Continuamo a pedalare fino a Conselve con il suo centro storico ingentilito dalla presenza di numerose ville e palazzi nobiliari, sino a giungere a Tribano. Dopo una tappa a San Pietro Viminario, celebre un tempo per la produzione del vimine, raggiungiamo Pernumia, patria del Ruzzante, per poi passare a Battaglia Terme e rientrare affiancando il canale Battaglia da un lato e il castello del Catajo dall’altro e chiudere così il nostro anello.
Acque, borghi e castelli
Luogo magico, pieno di storia purtroppo dimenticata dai più, la campagna intorno ai Colli Euganei è un microcosmo di bellezze sperdute tra piccoli paesini in cui si respira ancora il profumo di tradizione e di semplicità. Siamo nella zona termale veneta per eccellenza, i nomi di centri abitati sono Bagnoli, Anguillara, Terme Euganee, Gorghizzolo, Gorgo, Molini, Salata ecc. insomma, l’elemento caratterizzante questo territorio è sicuramente l’acqua. Tutto sembra collegato da questa matrice, fatta principalmente di affluenti dell’Adige, che un tempo, dopo che le sue periodiche inondazioni sono state arginate dalla bonifica a ridosso del 1000, ha consentito la fioritura di questa zona del padovano “incanalando” il commercio con la non lontana Venezia.
Partendo da Abano in direzione Due Carrare è proprio un corso d’acqua, il canale Biancolino, a guidarci attraverso la frazione di Molini. Poco dopo aver attraversato la statale che porta in città alla nostra destra appare in lontananza il Castello di San Pelagio. Si tratta di una splendida villa veneta comprendente una torre del 1300, parte del sistema difensivo dei da Carrara, storica famiglia della reggenza padovana che incontreremo spesso durante il nostro tour. Questo edificio dal 1980 ospita il Museo dell’Aria e dello Spazio, dove sono esposti diversi velivoli e modelli in scala. Merita una visita anche per la ricostruzione scenografica della cucina e della sala dove si pianificò il Volo su Vienna effettuato il 9 agosto 1918 dalla 87ª Squadriglia Aeroplani «Serenissima» comandata dal maggiore Gabriele D’Annunzio, partito dal campo di aviazione ubicato a sud del castello. Sulla facciata, oltre alla bellissima torre, le nicchie e le varie entrate in stile cinquecentesco si possono leggere due targhe in marmo che ricordano proprio tale volo.
Proseguiamo sul Biancolino, fino a giungere alla frazione di Pontemanco. Luogo ameno e pittoresco, questo era anticamente un borgo di carpentieri, fabbri, carrettieri, maniscalchi, e in particolare di barcari e cavallanti. Snodo importante nel commercio con Venezia qui oltre ai barcari che ne gestivano il traffico erano presenti anche i cosiddetti “cavallanti” che avevano il compito di trainare con cavalli e buoi le pesanti imbarcazioni cariche di mercanzia. Piccolo gioiello incastonato nella campagna, tutte le sue bellezze si racchiudono in una piazzola: dal ponticello sul Biancolino con annesso il vecchio mulino restaurato dai proprietari dell’adiacente Cafè Zhivago si può vedere infatti Villa Grimani Fortini, originariamente della famiglia patrizia veneziana dei Grimani che ottenne la concessione di sfruttamento delle acque di Pontemanco da parte della Repubblica Serenissima e diede nuovo impulso all’attività di macinazione delle granaglie. A fianco della villa si trova l’oratorio della Beata Vergine Maria Annunciata, struttura alle dipendenze della famiglia Grimani e unica parrocchia del paese. Infine, proprio sul canale, un elegante palazzo ristrutturato degli anni 30′ che ospita la Guest House “il gatto nero”, davvero degna di menzione per la posizione e la magnifica terrazza. Curiosità, di qui passa anche la strada del vino dei Colli Euganei… insomma non manca proprio nulla!
Sulle tracce dei Carraresi, un’abbazia e misteriosi simboli pagani
Dall’atmosfera davvero silenziosa e rustica di Pontemanco ci spostiamo verso il centro di Due Carrare. Nata dalla fusione dei comuni di San Giorgio e Santo Stefano fu sigillo del potere sulla bassa padovana della famiglia “Da Carrara”, quei Carraresi divenuti signori della Padova del Trecento e rappresentati dall’effigie araldica a quattro ruote onnipresente nei palazzi della zona. Durante la loro signoria, la città euganea arrivò a conquistare Verona, Vicenza, Treviso, Feltre, Belluno, Bassano, Udine e Aquileia, controllando perciò, fino al 1405, gran parte del Veneto e parte del Friuli. Solo l’ultima sconfitta con Venezia impedì, di fatto, la creazione di un grande stato regionale con Padova come capitale. Anche qui l’elemento acqueo non tarda a farsi sentire: la vicina via fluviale dell’attuale Vigenzone (il Togisonus di Pliniana memoria, resto fossile del ramo più settentrionale dell’Adige), con il medioevale Ponte di Riva costruito su fondazioni di probabile origine romana, rendono indubitabile la presenza di un tracciato viario e fluviale che favorì lo sviluppo di un insediamento umano. È da ritenere una comparsa abbastanza precoce del Cristianesimo nel luogo, già prima che nella vicina zona termale Aponense, dove i misteriosi culti pagani erano assai più radicati. Edificio di massimo interesse in questo borgo è l’Abbazia di Santo Stefano, il monastero di attestata fondazione più antica della provincia di Padova, non a caso sorta di vero e proprio mausoleo dei Da Carrara e simbolo del legame mediceo con questa provincia. Sul portale principale si staglia infatti lo stemma Papafava dei Carraresi, del Settecento, e lo Stemma Medici, del 1588, con iscrizione commemorativa del Cardinale commendatario Ferdinando I, granduca di Toscana. Fiore all’occhiello di questa struttura che mostra influssi dello stile architettonico proprio della corporazione dei maestri costruttori della zona di Como sono i mosaici risalenti al X-XI secolo. L’adozione del tessellato bicromo bianco e nero trova ampi riferimenti dall’età imperiale romana a tutto il periodo altomedioevale e la povertà dei materiali impiegati in questi pavimenti, quasi esclusivamente di recupero dalle romane Aponi Termis, è contemplata nella stessa idea benedettina di salvezza. Imponente è il medaglione centrale davanti all’altare recante il supposto sigillo delle sepolture comuni dei Conti Carraresi, da cui si diramano otto raggi dai cui margini una fascia con intreccio a rombi crea altre quattro rotae minori. Tale sistema compositivo riflette l’idea di dell’infinito ottenuta tramite un sistema di percorsi visivi dove è tecnicamente già implicita l’impossibilità di percepire origine e fine. A sinistra del medaglione, in posizione leggermente arretrata rispetto all’altare, troviamo forse l’elemento più interessante e pregno di significato simbolico dell’abbazia. Il mosaico pannellato è diviso in due scene: in quella superiore l’aquila (simbolo di resurrezione) è tentata dal corvo (morte, eresia), subito sotto il cerbiatto (purezza, anima) lotta contro le insidie del serpente (peccato), mentre il lupo (vizio e tradimento) viene cacciato a lato. Tutti questi sono animali spesso ricorrenti nel bestiario medioevale e sono qui utilizzati come messaggi di ammonimento diretti ad una devozione timorata, rispettosa di Dio; la parte inferiore del manufatto presenta una decorazione dal tipico motivo dell’onda a pelte contrapposte (allegoria del battesimo) al cui interno è presente un impianto a vigna dove gli uccelli si rifugiano trovando nutrimento e protezione, simboleggiando così le anime beate fedeli a Cristo. Curiosità, tra questi volatili appare un uccello bicefalo, tipico dell’immaginario medioevale, che ingoia dei pesci.
Non c’è lo spazio per trattare tale argomento ma appare comunque evidente che alcuni di questi simboli non siano solitamente presenti nel simbolismo cristiano-cattolico, si rifanno infatti ad una tradizione molto più antica, di origine pagana, che è poi stata incanalata nel cristianesimo primitivo e poi saggiamente nascosta e protetta dai mastri muratori prima, poeti, tintori, pittori, alchimisti e stampatori poi. In veneto figura di spicco in questo ambito è stato sicuramente Francesco Petrarca, che guarda caso aveva una dimora molto “particolare” proprio sui Colli Euganei. A conferma di ciò l’interesse che questo monastero dalla storia misteriosa suscitò nei monaci Cluniacensi, veri portatori di conoscenza nell’Europa medioevale. La tradizione infatti, come pure le attestazioni di alcuni tra i più insigni storici, fa risalire una prima presenza monastica in Santo Stefano al 910, quando l’abate Bernone di Cluny avrebbe qui istaurato una fondazione di obbedienza Cluniacense. Altri studiosi vedono invece nella presenza dell’antica chiesetta sotterranea un elemento catalizzatore che avrebbe potuto portare in Carrara una qualche forma di monachesimo già in un periodo antecedente. Ai posteri l’ardua sentenza…
Usciamo dalla misteriosa abbazia, passando davanti al campanile e con la pioggia che inizia piano a scendere in un’atmosfera ancor più evocativa ci spostiamo verso Cartura, paese poco distante. Tra il II e il III secolo Cartura fu il centro di un’importante attività di produzione di laterizi da costruzione, favorita dallo sviluppo urbano delle città vicine facilmente raggiungibili e, in particolare, della città di Padova: una delle ipotesi più accreditate è infatti che il nome Cartura derivi dal marchio della fornace Cartorian. Al centro del paese la Chiesa Parrocchiale settecentesca di Santa Maria Assunta, non di particolare rilevanza dal punto di vista architettonico, la chiesa custodisce un affresco di Giandomenico Tiepolo (figlio del più conosciuto Giambattista), che occupa gran parte del soffitto, datato 1793 e raffigurante l””Assunzione”. Con la realizzazione di quest’opera, che con la sua forte divisione tra cielo e terra vuole aumentare il “fuoco” interiore del fedele, Don Paolo Trentini diede compimento al grande lavoro di ampliamento e risistemazione del luogo di culto iniziato nel 1770.
Usciti dalla chiesa notiamo anche qui la simbologia carrarese che come una macchia d’olio è diffusa su tutti i palazzi storici della zona. Ci fermiamo a poche decine di metri per il pranzo, in uno dei tanti rustici della zona adibiti ad agriturismo che servono ad ogni ora piatti semplici e prelibati, con quel tipico sapore “vulcanico” delle primizie raccolte dalla scura terra di questa zona termale. Dopo aver pasteggiato terminiamo la sosta con un assaggio della classica torta “sbrisolona” alle noci e poi ci dirigiamo verso Tribano, dove ci aspetta il sindaco in persona sotto la Torre Civica. Lungo il percorso, in località Conselve, alla nostra sinistra appare Ca’ Sagredo, una villa settecentesca fatta costruire da Giovanni Sagredo, potestà di Padova e ambasciatore della Repubblica Serenissima presso le principali corti europee. L’edificio, che oggi è adibito ad agriturismo e alloggio, era stato concepito come padiglione da caccia e trasformato poi in signorile dimora di campagna da Piero Sagredo, figlio di Giovanni. La villa, ristrutturata all’inizio dell’Ottocento dopo il saccheggio napoleonico, presenta una lunghissima facciata dove l’occhio più attento può cogliere il simbolismo ottagonale sia della rosetta centrale che delle nicchie verso l’entrata dell’agriturismo. Tempo per un paio di foto, rifiatiamo visto il pranzo non proprio leggero, e via alla volta di Tribano.
Centro nato intorno all’anno 1000 sui terreni bonificati dai monaci benedettini e dai Veneziani, ci viene meglio presentato dal sindaco Massimo Cavazzana che gentilmente ci porta in cima alla torre della chiesa arcipretale di San Martino. La Torre Civica, a pianta quadrata e realizzata in mattoni in cotto, che domina il paese dai suoi 30 metri circa di altezza, è l’unica superstite delle tre presenti in paese costruite dagli Estensi in concomitanza con il castello che fu edificato su un’altura detta oggi, appunto, Castellaro. Saliamo su una scala a chiocciola molto ripida che partendo dal bellissimo pavimento veneziano settecentesco della base ci porta in cima alla torre, da qui non è certo difficile capire l’importanza che potesse un tempo rivestire questa struttura con una visuale che spazia su tutta la piana, da Padova fino al Monte Venda nel cuore degli Euganei. Curiosità segnalata dal sindaco, i merletti della torre che solitamente si presentano con le due forme guelfa (a due punte) e ghibellina (piatta) in questo caso mostrano una forma concava, di difficile inquadramento storico. Nel parco della parrocchia si trova, ben recintata, una splendida e imponente magnolia dall’età di ben ottocento anni… lei si che ci saprebbe raccontare i misteri di questa terra!
La casa del Ruzante a Pernumia
Inforchiamo le bici diretti verso gli Euganei, dopo una breve sosta a San Pietro in Viminario, citato già dal 1054 per via della lavorazione del vimine e sviluppatosi successivamente intorno all’omonima chiesa e al monastero fondati dai monaci benedettini, continuiamo alla volta di Pernumia. Il nome del paese sembra derivare dal termine “nemus”, bosco in latino, che richiama i fitti boschi che coprivano in passato il territorio. Pernumia è però legata principalmente ad Angelo Beolco, al secolo Ruzzante. L’edificio originale della casa che tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento diede i natali al più importante commediografo del secolo nonché il più grande cantore del mondo contadino veneto, venne distrutto nel 1930. L’attuale casa, oggi abitazione privata, è stata ricostruita secondo il disegno originario.
Ruzante, il commediografo preferito da Galileo Galilei
Ruzzante fu autore di opere immortali che anche se dimenticate per qualche secolo, dall’inizio del Novecento tornano all’attenzione della critica. Questo e altro dice di lui Dario Fo’ in occasione della cerimonia per la consegna del premio Nobel: “Ruzzante Beolco, il mio più grande maestro insieme a Molière: entrambi attori-autori, entrambi sbeffeggiati dai sommi letterati del loro tempo. Disprezzati sopratutto perchè portavano in scena il quotidiano, la gioia e la disperazione della gente comune, l’ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia”. Le sue commedie più note ” La Betìa 2, ” Parlamento de Ruzzante”, ” la Moschetta”, l’ “Anconitana”, la ” Piovana e la ” Vaccaria” furono rappresentate più che altro nel Palazzo di Alvise Cornaro, suo amico e mecenate, e nelle case dei Patrizi veneziani, recitate dalle Compagnie della Calza. Dario Fo’ cita il commediografo di Pernumia proprio per sottolineare il “problema” del dialetto, affrontanto in altre modalità anche dal grande Dante, e che in Ruzzante è portato alle estreme conseguenze: “È un dialetto la cui base non esiste più, certo esistono quelle parole staccate che provengono dal francese dallo spagnolo e da altri dialetti, ma la radice non è più presente. Per questo quando si va a vedere e ascoltare Ruzzante pochissimi, anche del luogo, riescono ad intendere. Ho fatto un’indagine intorno alla periferia di Padova, andavo in giro per la campagna recitando brani delle sue commedie, con la sua impostazione, e nessuno capiva! Tanto è vero che i contadini che mi ascoltavano dicevano di non capire il tedesco!”. Il Rinascimento di Ruzante è senza fronzoli, contadino, immediato, rustico dritto allo stomaco, proprio il contrario di quello di molti artisti dell’epoca. Questo è probabilmente il motivo dell’oblio in cui cadrà la sua produzione commediografica, ritenuta dallo stesso Galileo Galilei, che la poteva leggere introducendosi da una porta di casa sua direttamente nel palazzo del Cornaro, la sua preferita in assoluto. Figlio naturale di un medico, ebbe un’educazione raffinata; in gioventù scrisse rime d’imitazione petrarchesca che non ci sono giunte, ma per quanto divenga un uomo molto colto il Ruzzante non appartiene con formula piena ad una classe sociale agiata, gli è infatti preclusa la frequentazione dell’Università e la possibilità di diventare accademico. Personaggio decisamente fuori dagli schemi, diversi i riferimenti nella sua opera che fanno trasparire una conoscenza non convenzionale, fatta probabilmente anche di relazioni intessute con personaggi portatori del sapere “tradizionale” e mai mancati in terra veneta. Una piccola curiosità a tal proposito è l’interesse del Ruzzante per evitare la demolizione della casa del Petrarca ad Arquà, cosa che purtroppo avvenne nonostante la sua richiesta. Basterà a far capire il suo spirito combattiero la citazione da una delle sue opere: “Non cantano meglio gli uccelli sui salici di quanto non facciano nelle gabbie?”, e come dargli torto…
A Pernumia però oltre alla casa del Ruzante, principale attrazione del paese, troviamo anche altri elementi d’interesse. In particolare notevole è la Chiesa di Santa Giustina, chiesa plebana del borgo. Pernumia è infatti uno di quei centri di antica fondazione (di continuità all’epoca romana) destinati, nei primi tempi dell’evangelizzazione del padovano, a definire ed in qualche modo proteggere il territorio della Diocesi che si erige su una struttura molto antica. Al di sotto della pavimentazione sono infatti stati rinvenuti i resti dell’antica chiesa medioevale; una grande basilica a tre navate divise da colonne di mattoni, costruita in bello stile romanico. Al di sotto della chiesa medioevale è stato trovato un ulteriore edificio, che si può visitare dall’entrata laterale, ancora più antico e con evidenti tracce d’incendio, che sembra riferibile ad ambiti cronologici del V-VI secolo. Usciti dalla chiesa dopo aver osservato sulla destra l’ennesimo imponente stemma dei Carraresi, che ormai abbiamo capito essere ovunque, e alcune interessanti targhe murarie proseguiamo alla volta di Battaglia Terme, ultima tappa di questo anello.
La pista ciclabile che unisce i due paesi è forse una di quelle che meglio descrive questa zona pianeggiante, si segue infatti un corso d’acqua e nulla si frappone alla vista tra una località e l’altra, così da lontano si riesce già ad intravedere il paese. Questo è il comune più piccolo della provincia di Padova ed il più originale nell’area euganea, con il suo centro storico affacciato sui canali che lo fanno così assomigliare ad una località rivierasca. Soprannominato anche Porta del Parco dei Colli Euganei, il borgo fluviale deve la sua importanza ai corsi d’acqua che lo attraversano e alla presenza dell’unica grotta termale naturale dell’area euganea, situata nel piccolo Monte Sant’Elena, detto anche Monte della Stufa. In città ha sede il Museo della Navigazione Fluviale, unico del suo genere, raccoglie le testimonianze dei mestieri protagonisti del passato produttivo della zona.
Passato l’ultimo ponte del minuscolo paesino la pista ciclabile continua fino al Catajo, un enorme castello costruito sul fianco del colle adiacente Battaglia e a nostro parere una delle attrazioni principali di tutta la provincia padovana, se non dell’intero Veneto. Con oltre 350 stanze, il giardino delle delizie, le pertinenze di 40 ettari il castello del Catajo è considerato tra le dimore storiche europee più imponenti ed importanti. Il monumentale edificio ricco di storia, fascino e leggende nacque per celebrare i fasti degli Obizzi, in particolare di Pio Enea I, fu ampliato dalla stessa famiglia nel ‘600 e ‘700, venne in seguito trasformato in reggia ducale dalla famiglia Asburgo-Este, duchi di Modena e Reggio, e infine eletto residenza di villeggiatura imperiale degli Asburgo, imperatori d’Austria. Il castello è ancora oggi di proprietà privata e aperto al pubblico con funzione museale. Dimora unica nel suo genere nel tempo è stata villa principesca e alloggio militare, cenacolo letterario e reggia imperiale. Già dal XVI secolo era divenuto sede di una della più importanti raccolte collezionistiche d’Europa. L’origine del nome è leggendaria: mitogicamente legata al Catai, la Cina visitata da Marco Polo, ai cui palazzi imperiali il castello doveva ispirarsi. Il nome fa invece riferimento al luogo dove sorge la Ca del Tajo ovvero la “tenuta del taglio”, con possibile riferimento allo scavo del Canale di Battaglia che tagliò a metà molti appezzamenti agricoli. Purtroppo non vi è l’occasione per entrare nel castello, che a riprova della suo estremo fascino è frequentatissimo da turisti e scolaresche anche durante la settimana. Seguendo la rilassante pista ciclabile che costeggia il Canale Battaglia da un lato e gli Euganei dall’altro, graziati da una pioggia che non cade, torniamo in direzione Abano godendoci gli ultimi scampoli della giornata. L’itinerario è davvero uno dei più interessanti e semplici nella zona del padovano, nonostante una lunghezza di 46 chilometri grazie al terreno piano e alle tante piste ciclabili che uniscono i vari borghi, la fatica sembra proprio non farsi sentire, gli occhi si rifanno con gli splendidi panorami e lo stomaco beh… siamo in Italia no?
Fonti:
Per ulteriori informazioni:
www.vividuecarrare.it/abbazia-di-santo-stefano
www.progettofrigus.it/destinations/chiesa-di-santa-maria-assunta/
www.progettofrigus.it/destinations/ca-sagredo
www.progettofrigus.it/destinations/villa-lazara
www.progettofrigus.it/destinations/torre-civica