In Amazzonia, sulle tracce dell’ultima città degli Inca

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Il mitico Colonnello Fawcett, esploratore per la Royal Geographic Society

L’Amazzonia, la foresta tropicale più estesa al mondo, ricopre una immensa area geografica del Sud America interessando paesi come il Brasile, il Perù, la Colombia, l’ Ecuador, il Venezuela. Molti sognano di poter fare l’esperienza di un viaggio avventuroso in un’area amazzonica, immergersi in questo immenso mare verde incontaminato, remoto ed a tratti inesplorato, addentrarsi nella foresta intricata, risalire gli ampi fiumi, avvicinare gli abitanti per conoscere gli stili di vita in questo mondo così poco conosciuto e alquanto misterioso… un’occasione unica dal punto di vista naturalistico e culturale.
Ma c’è anche chi si addentra nelle foreste alla ricerca delle tracce di civiltà perdute.
In questo articolo vi racconteremo le vicende affascinanti di un gruppo di esploratori che stanno per effettuare una impresa che ha dell’incredibile. La spedizione, denominata Campo Base, è formata da esploratori, medici, arche astronomi, cartografi e scrittori. Tra loro l’amico Marco Zagni, che dopo una vita passata sulle tracce del mitico Colonnello Fawcett e con tante spedizioni in Amazzonia sulle gambe, nel 2020 si appresta al tentativo più audace, quello di raggiungere l’ultima città degli Inca, la leggendaria Paititi.

«Ci si trovava nella Valle di Lacco, prospiciente proprio la zona dell’Altopiano Mesopotamico. Subito ci siamo accorti della ricchezza di indizi di cui la foresta era piena, da quelle parti, di riferimenti di antiche culture perdute: simboli arcaici su pietra, petroglifi, simbologia ancestrale e astronomica scolpita sulle rocce, piattaforme religiose e di osservazione solare e molto altro…»
Marco Zagni, esploratore

Il progetto Paikikin: una sintesi

L’Associazione “Campo Base” di Roma, avvalendosi dell’aiuto del professor Giuseppe Fort, archeologo e socio fondatore dell’Associazione stessa, della professoressa Silvia Motta, archeoastronoma della Società Italiana di Archeoastronomia, con sede all’Osservatorio Astronomico di Brera a Milano, e di altri associati, si propone di organizzare per gli anni 2019/20 una spedizione esplorativa in Perù, meramente fotografica/filmata e senza scavo, di una zona situata a Est del corso del fiume Basso Urubamba, tra il suo affluente rio Ticumpinìa e l’altro affluente a Nord di questi chiamato rio Timpia.
Tutta questa zona, situata nel Dipartimento di Cusco, parecchio a Nord della città omonima, si presenta ancora per la gran parte inesplorata: il corso del Basso Urubamba venne percorso per la prima volta e mappato per conto del Governo peruviano solo nel 1934 dall’esploratore Edward Kellog Strong III, mentre le mappature adiacenti vennero effettuate solo con le prime rilevazioni satellitari Landsat americani, negli anni Settanta. Il progetto ha avuto l’approvazione della più antica società di geografia del nostro Paese, la Società Geografica Italiana.
L’esploratore Marco Zagni, associato di Campo Base, ha dedicato diversi anni a studiare ed esplorare (con 4 spedizioni) le zone più limitrofe dell’Altipiano, in particolare le zone a Est della località di Timpia, e la Valle di Lacco (2016).
Oltre al rinvenimento in questi ultimi anni di un gran numero di petroglifi pre-incaici amazzonici di natura prevalentemente astronomica e al ritrovamento di vere e proprie antiche piattaforme in pietra per l’osservazione solare, Marco Zagni e il suo compagno dell’ultima spedizione del 2016 Roberto De Leo, sono assolutamente convinti che nella zona Nord della Valle di Lacco/Megantoni si possano trovare i resti di una città preincaica/cultura Huari (WARI). L’area in questione, che trovandosi tra due fiumi è denominata Altopiano Mesopotamico, al cui interno si erge la Montagna Quadrata, molto probabilmente nel XVI secolo aveva accolto gli scappati incaici della Capitale dell’Impero Incas, Cusco.

Petroglifi ritrovati nella spedizione del 2016

Piattaforma in pietra per l’osservazione solare

Un evento eccezionale avvenuto nel 2017, quando le guide peruviane Javier Paso e Benancio Encalada si sono avventurate solo pochi chilometri più a Nord di dove era giunta la spedizione Zagni /De Leo del 2016, ha corroborato le convinzioni degli italiani. Le due guide hanno infatti scoperto un’area di interesse archeologico sepolta dalla vegetazione di circa 20.000 metri quadrati (200 metri x 100), con tratti di mura e strade cittadine, in prossimità Sud dell’Altopiano Mesopotamico e a pochi chilometri dalla meta più agognata di questo, la famosa Montagna Quadrata. La scoperta ha avuto una immediata risonanza nazionale peruviana a livello mediatico.
Tutti sono rimasti molto colpiti, ed entusiasti della cosa, a conferma del fatto che le speranze in futuro di trovare ulteriori resti archeologici proprio in quelle zone si sono di colpo consolidate. Ciò apre enormi scenari di ricerca per il futuro nell’area, nei più diversi campi, almeno per i prossimi vent’anni. Per questo motivo consideriamo che sia di cruciale importanza portare a conoscenza dell’Occidente l’enorme possibilità di lavoro e di ricerca potenziale in questa zona selvaggia del Perù, sperando che questo progetto di indagine trovi la possibilità di realizzarsi.

Marco Zagni, diario di un esploratore

La mia prima spedizione risale al 1984 nella Guyana Francese, più di 30 anni or sono, ed in tutto questo periodo trascorso tra viaggi e spedizioni in varie parti del mondo posso dire di aver acquisito un’esperienza di primo piano nel campo particolare dell’esplorazione del Sud America.
Molta acqua è passata sotto i ponti, ci sono naturalmente stati momenti difficili ed altri esaltanti. Ho perso diversi anni di ricerca seguendo le indicazioni del medico Carlos Neuenschwander Landa, esploratore dall’ottima reputazione, che nel suo libro Paititi en la Bruma de la Historia (1983) aveva però erroneamente indicato Paititi nella zona della Madre de Dios. Dall’altro lato sono stato il primo italiano a raggiungere l’altopiano di Marcahuasi nel 1998, facendo conoscere questo luogo meraviglioso delle Ande peruviane, di cui allora gli stessi specialisti dell’archeologia ufficiale negavano di fatto l’esistenza. Grazie all’appoggio di Roberto Giacobbo e della sua trasmissione Voyager di Rai 2, nel 2011 girammo inoltre un eccezionale filmato unico al mondo di questa enigmatica area dell’altipiano preistorico andino centrale, che fu poi trasmesso sulla Rete Nazionale Rai l’anno successivo.


Marco Zagni e il medico Roberto De Leo in una precedente esplorazione

Non v’è alcun dubbio però che la molla che mi spinse sin da bambino a voler seguire le orme del mitico Colonnello inglese Percy Fawcett e la sua ricerca della città di Zeta (o Matalir, città atlantidea situata nella foresta amazzonica del Brasile) fu la volontà di dimostrare l’esistenza di perdute ed antichissime città perdute del Sud America. A tal riguardo nel 1999 ebbi la fortuna di intervistare il nipote di Fawcett, Timothy Paterson, e ciò mi diede la spinta definitiva nel credere che la giungla impenetrabile nascondesse ancora molti segreti.
Mi concentrai sulla ricerca della città perduta più famosa del Perù, l’inaccessibile Paititi (o Paikikin), cercata sin dai tempi dei Conquistadores spagnoli del XVI secolo. Tra i vari motivi che mi avevano spinto a puntare su questa avventura archeologica, il principale era l’amicizia con l’esploratore americano di origini armene Greg Deyermenjian, il quale era estremamente motivato alla risoluzione dell’antico mistero peruviano.
Per le nostre ricerche ci basammo sulle esperienze scritte di un padre missionario, Juan Carlos Polentini, il quale era assolutamente sicuro che la città perduta del Paititi, l’ultimo rifugio degli Incas in fuga dagli spagnoli dopo la caduta della Capitale dell’Impero Inca Cuzco, fosse situata in quel Dipartimento peruviano a fianco del Dipartimento di Cuzco e confinante con lo stato brasiliano di Acre.
Dal punto di vista logistico la spedizione fu un grande successo, raggiungemmo dopo protratti sforzi esattamente il luogo che il Polentini aveva indicato nel suo libro El Paititi, ma la città perduta non era lì. Probabilmente il missionario aveva ricevuto dagli indigeni delle indicazioni errate e volutamente distorte.
Al mio ritorno in Italia, nel 2000, feci eseguire delle ricerche satellitari su alcune zone peruviane situate circa a 50 chilometri più a Nord Ovest di dove ci eravamo spinti. Dagli Anni ’60 si diceva infatti che in quest’aerea durante le ricerche aeree si fosse intravista prima e fotografata poi una “Laguna Quadrata”, uno specchio d’acqua molto scuro di forma perfettamente quadrata (200 mt. X 200). Guarda caso, secondo la leggenda amazzonica, una laguna quadrata si troverebbe proprio nei pressi della città di Paititi.


La “montagna quadrata” o “altopiano mesopotamico” dove si cerca Paititi

Più precisamente, Carlos Neuenschwander, tramite la forza aerea del Perù (avendo per amico un importante Generale), aveva compiuto varie escursioni aeree in diverse zone amazzoniche, seguendo le indicazioni di un vecchio contadino di etnia Machighenga, tale Angelino Borda, che intorno agli anni Venti/Trenta, era stato rapito dagli abitanti del Paititi (detti Musos), e portato al Paititi stesso da prigioniero insieme alla sua ragazza. In un secondo tempo una notte era riuscito a scappare scendendo dalle scale dell’”acropoli” della città – di cui ricordò un grosso arco di ingresso e mura circolari – e vide, scendendo dalla scalinata, grazie alla Luna piena, una scura Laguna Quadrata. Inoltre Neuenschwander si basava anche sul racconto di un Machighenga chiamato Celestino, il quale gli aveva riferito, così come aveva già fatto Angelino, che il Paititi si trovasse a Nord del massiccio montagnoso del Toporake, partendo dalla Laguna Nera. Questo è sicuramente il Lago noto come Lago del “Angel” secondo l’esploratore USA Gregory Deyermenjian, ultimo punto raggiunto dall’americano in una conosciuta via “alta” incaica della Cordillera del Paucartambo, che punta dritta verso la strana Montagna Quadrata. Neuenschwander si convinse però che Angelino e Celestino si fossero sbagliati completamente e tutta la zona di Paititi si dovesse trovare nella zona Orientale della Cordillera del Paucartambo, se non addirittura in Bolivia, o in Brasile. Purtroppo Greg Deyermenjian, come il sottoscritto, seguì alla lettera le indicazioni del Neuenschwander e questo ci fece perdere, come accennato precedentemente, circa 15-20 anni nella zona Orientale della Madre de Dios. Ma non ci lasciammo scoraggiare.

La faccenda sembrava molto interessante, in più la scoperta nello stesso anno di una antica lettera di un missionario Gesuita inviata al Papa, della fine del ‘600, scovata tra i labirinti del Vaticano grazie alla ricerca dello studioso accademico Mario Polia, rivelava senza ombra di dubbio che la Chiesa Cattolica era stata a suo tempo a conoscenza dell’esistenza del regno perduto del Paititi, situato non molto distante da Cusco. Stando così le cose si poteva allora immaginare che, seguendo il fiume Urubamba gli Incas nel XVI secolo, in fuga dagli Spagnoli, si erano probabilmente spostati a Nord della capitale Cusco passando per Ollantaytambo e Macchu Picchu, sorpassando le rapide pericolose del Pongo di Mainique (che invece gli Spagnoli non riuscirono mai a varcare) e raggiungendo la confluenza Urubamba-Timpia: da lì scomparvero nella selva, probabilmente accolti come profughi nel regno del Paititi, secondo nostra ipotesi dominato allora dalle ultime vestigia della cultura Huari (già pre-incaica).

Sul fiume Urubamba, a nord di Cusco

La zona in questione, ossia la selva a Sud del Timpia (area del Megantoni), rimane assolutamente sconosciuta e ancora oggi in massima parte inesplorata: gli stessi peruviani sconsigliano vivamente di organizzare spedizioni nella zona a causa di Indios aggressivi che hanno provocato recentemente alcune perdite umane, tra esploratori e militari. Ai suoi margini si trovano guerriglieri, banditi e trafficanti di droga, in più per esplorarla bisogna essere dotati di permessi di ricerca non facilmente ottenibili dal Governo peruviano. Le stesse mappe militari peruviane in nostra dotazione sono in parte incomplete.
Noi del Gruppo Campo Base siamo gli unici al mondo che da 3 anni esplorano le sue foreste, ed è per questa ragione che rimango senza parole, sicuramente insieme ai miei colleghi esploratori, quando saltuariamente leggo su varie riviste e quotidiani compiacenti che questo o quel personaggio pittoresco, per mezzo di teorie poco accreditate o perché possiede “Google Earth” sostiene di aver “scoperto” il Paititi tramite computer e internet, non avendo mai nemmeno varcato la soglia di casa! La dura legge della Disciplina archeologica, come per qualunque altra disciplina, impone in primis la verifica sul campo di quello che solo si suppone possa esistere da un’analisi delle foto e delle mappe in dotazione!
Lo stesso ex medico militare Roberto de Leo, che si è unito con passione alla nostra equipe, è alla fine arrivato alle nostre stesse conclusioni, ed egli pone senz’altro la preminenza all’esplorazione archeologica diretta, tant’è vero che verrà con noi. Egli porta comunque avanti un metodo di ricerca che definirei “archeo-astronomico”:

«Stavamo studiando le correlazioni fra le piramidi di Giza e le costellazioni, argomento decisamente interessante e ancora tutto da definire, non solo in merito al tipo di costellazioni rappresentate (Orione? Cigno? Sulle quali anche dei maestri come Bauval e Collins si trovano divisi), ma anche ai collegamenti con solstizi, equinozi, fenomeni della Precessione e quindi, anche, datazioni dei complessi templari che, sulla terra, rappresentano la volta celeste […] mi arrovellavo sulla questione: perché gli Egiziani avrebbero dovuto costruire dei monumenti in base a caratteristiche astronomiche, e la stessa identica cosa non l’avrebbero dovuta fare Maya, Aztechi e Incas? A quel punto il passo successivo era breve e, avendo una migliore conoscenza dei siti Peruviani, bastava posizionare Deneb (Cigno) su Nazca e Altair (Aquila) su Tiwanaku; la restante stella che compone il triangolo, ovvero Vega, della costellazione della Lira avrebbe dovuto corrispondere a Cuzco…e invece no!…»
Roberto De Leo, medico esploratore

Il percorso previsto per la spedizione Paikikin 2020

Le esplorazioni Inkari 2013, Inkari 2014 e Paititi 2016 (Zagni /De Leo), essendo state di tipo tradizionale terrestre e non supportate dal cielo, hanno permesso di arrivare solo dopo grossi sforzi a circa 30 chilometri dagli obiettivi principali, localizzati nella zona di mio particolare interesse sopra descritta come “Montagna Quadrata”. L’esplorazione approfondita che noi ci accingeremo ad affrontare con il nuovo team nel 2020, si spera con il supporto pure di un elicottero di tipo russo MI 17, nella zona Sud del Rio Timpia, accerterà definitivamente l’esistenza o meno di antiche strutture archeologiche che si pensa risultino nascoste tra le foreste dell’area del “Megantoni” nel Distretto di Cusco del Perù, per me probabilmente appartenenti all’antico Impero Amazzonico del Paititi.
«Ciò che è in basso è come ciò che è in alto[…]» diceva il grande Ermete, beh noi speriamo vivamente che non si sia sbagliato!

Il crowdfunding

Per finanziare l’ambizioso progetto il Gruppo Campo Base ha istituito un crowdfunding che potete trovare a questo link insieme a tutte le informazioni necessarie:

https://www.produzionidalbasso.com/project/progetto-paititi-citta-perduta-inka/

Fonti:
Materiale fotografico di Marco Zagni e Roberto De Leo
Articolo “Valle di Lacco: porta di accesso al perduto Paititi” apparso sulla rivista Fenix (2016).
Conferenza tenutasi a Porretta Terme il 15/08/19
https://www.youtube.com/watch?v=mws76vFIlMc[/vc_column_text][/vc_column][vc_column][/vc_column][/vc_row]

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