L’Invenzione della Neve, dal 14 settembre il film di Vittorio Moroni

L’Italia, culla di arte, cultura e innovazione cinematografica, ci regala una nuova gemma: “L’Invenzione della Neve”. Previsto nelle sale dal 14 settembre, questo film, diretto da Vittorio Moroni, promette di trasportare gli spettatori in una dimensione unica, combinando dramma e meraviglia.

Il Cast

Il cast vanta nomi come Elena Gigliotti, Alessandro Averone e Anna Ferruzzo. La presenza di Carola Stagnaro aggiunge ulteriore profondità a questo ensemble di talenti. Ma c’è di più: le animazioni sono curate dal maestro Gianluigi Toccafondo, le cui opere sono sempre state sinonimo di maestria e originalità. Si preannuncia, quindi, non solo una visione, ma un’esperienza. Un viaggio tra realtà e fantasia, tra la magia del cinema e l’arte dell’animazione, che solo il cinema italiano sa offrire in modo così autentico e toccante. 

Sinossi

Carmen vive le sue emozioni con una passione sconfinata, e il mondo sembra non accettarlo. Nonostante la fine della loro relazione, Carmen vede ancora Massimo come l’anima gemella. Adora profondamente Giada, la loro figlia di 5 anni. Attualmente, Giada vive con suo padre e Carmen ha il diritto di incontrarla solo ogni due settimane. Tuttavia, Carmen non si arrende: è consapevole dei suoi sbagli ma sa di essere una madre premurosa e non lascerà che alla sua piccola succeda ciò che le è accaduto nella sua infanzia. Se il mondo cerca di abbatterla, Carmen è pronta a rivoluzionarlo.

Note di Regia

Ognuna delle sei scene principali di questo film è stata girata senza interruzioni, normalmente per 20-35 minuti. L’accordo con attori, operatore di ripresa, microfonista, DOP e fonico: qualunque cosa accada durante il take, non ci fermeremo, fino alla fine della sequenza. Non ci sarà nulla che chiameremo errore, semmai variazione. Ogni imprevisto sarà una nuova opportunità. Come nel documentario, come nella vita.

Ogni take è stato poi montato, con Mattia Soranzo, intrecciandolo con gli altri, per ottenere un distillato che è il film, questo film.

Tutto è stato girato in diciotto giorni. Tre dedicati a ogni scena, uno per esplorarla e reinventarla nello spazio, un altro per vendemmiare, l’ultimo per sperimentare i confini e le possibilità più estreme di ciascuna situazione.

La sceneggiatura è stata la mappa di un viaggio con appuntamenti imperdibili, ma senza un percorso obbligato. Unica bussola: la verità. Cioè: quanto avviene in scena, nel cuore, nei corpi, nelle relazioni tra gli attori.

Con gli attori, scelti in quattro anni di casting e sottoposti a una lunga preparazione, è stato fatto uno scambio: “offri al tuo personaggio le tue esperienze, i tuoi ricordi più intimi, le tue fragilità, le tue ombre e in cambio potrai plasmarne gesti e linguaggio fino a farlo diventare te”. Ho cospirato per settimane con l’actors coach Rosa Morelli e gli attori auspicando il sorpasso, il momento in cui l’attore si fosse tanto donato e calato nel proprio personaggio da saperne più di me e più dei co-sceneggiatori, che lo avevamo inventato.

Abbiamo chiesto agli interpreti di rispettare il copione nella sua essenza e non alla lettera: cioè tradendolo ogni volta che era necessario, per accedere a quella verità sottostante che era il punto di incontro tra l’attore e il personaggio.

Ho chiesto ad Andrea Caccia e alla sua macchina a spalla e a Daniele Sosio con la sua asta microfono, di danzare con me e con gli attori, accettando il rischio dell’imprevisto, riprendendo senza sapere se i personaggi di fronte a loro si sarebbero fermati davanti alla finestra o avrebbero improvvisamente svoltato a destra. Accettando il rischio della perdita di fuoco, della sporcatura. E Massimo Schiavon ha concepito e organizzato le luci per danza.

Tutti, per ventuno giorni, abbiamo nuotato dove non si tocca, coscienti che questo rischio era il prezzo da pagare per darci la possibilità di essere sorpresi dall’inatteso.

Per ogni scena ho scelto una diversa ratio, una nuova proporzione del fotogramma, per dare allo spazio una dimensione più o meno claustrofobica.

Questo film è, infatti, a suo modo, un noir, un thriller dell’anima. Carmen, la protagonista, ha una forza ancestrale, ama in un modo che il mondo non le perdona. Anche le persone a lei più care la considerano eccessiva, invadente, sbagliata, pericolosa. Carmen agisce usando bugie, manipolazioni e seduzione. Lo ha imparato da bambina, sa che sono strumenti essenziali per sopravvivere. Cerca ciò di cui non può fare a meno: sua figlia Giada. Massimo, il padre, è intrappolato in una favola che ha creato lui stesso e che ora cerca di distruggere perché altrimenti ne sarebbe distrutto. Il film cerca di portare alla luce l’umanità che si cela dietro il costante bisogno dei due di aggredirsi e di amarsi, accusarsi e difendersi. Nonostante la loro crudeltà, Carmen e Massimo sono creature giuste, a modo loro, all’interno del modello che si sono dati, l’unico che conoscono, per esistere e trovare un senso. Carmen e Massimo sono ciò che fanno, ma anche, e soprattutto, ciò che desiderano essere.

Fin dall’infanzia la strategia fondamentale di Carmen per sopravvivere è l’immaginazione: ricreare il mondo, per renderlo accettabile; il suo progressivo rifiuto della realtà e delle sue regole spietate, la sua fantasia sono il punto di contatto tra follia e poesia.

Tutto ciò che si può sapere e intuire sui personaggi e sulla storia deriva da sei scene soltanto. Dopo la prima sequenza si avrà la sensazione di aver capito la natura dei protagonisti, le loro personalità, le rispettive motivazioni… Si sarà tentati di giudicare, di schierarsi da una parte o dall’altra. Ma dalla seconda scena alla fine, si verrà costretti a disvelamenti inaspettati che sollevano nuove domande. E che rendono difficile scegliere da che parte stare. Si sarà portati a rivedere i propri giudizi, a considerare le cose sotto una luce diversa, fino a chiedersi se la verità non sia semplicemente un misto tra ciò che è realmente accaduto e ciò che i personaggi avrebbero voluto accadesse.

La continua presenza di animali, immaginari o reali, rende costante il gioco di rimandi con la natura; le scelte e i comportamenti umani sono implicitamente confrontati con gli schemi altrettanto crudeli ma necessari dell’esistenza animale.

L’ambientazione è teatrale, per quadri, ma lo sguardo della macchina a mano persegue un’intimità documentaristica.

Il film è intervallato da alcuni minuti di sequenze animate attraverso le quali viene raccontata una favola: una famiglia di sirene fugge dal fiume e impara a vivere nella giungla, ma la terra non è meno minacciosa dell’acqua… I disegni e lo stile sono quelli di Gianluigi Toccafondo: corpi fluidi che mutano continuamente in un gioco evolutivo imprevedibile. È la favola che Massimo ha inventato per sua figlia Giada. A quella favola Carmen si aggrappa con tutte le sue forze perché è l’unica speranza di salvezza e di riconciliazione. È la rivincita del suo desiderio di felicità sulla crudeltà del mondo reale. È l’invenzione della neve.
Vittorio Moroni

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