Venti artisti che si interrogano sul mondo. E lo reinterpretano secondo una chiave di lettura che è legata anche alla struttura che li ospita. Arrivano da ogni continente e, naturalmente, i loro luoghi di origine sono spesso diversi da quelli di residenza, sinonimo di una visione multiculturale. O da quelli dove esercitano la loro attività.“Global Imaginations” è una provocazione da tutti i punti di vista. È una mostra con la quale una storica fabbrica di farina si congeda dalla città cui ha garantito occupazione (fino a 115 addetti nel periodo di massima espansione) e benessere economico. Ancora durante l’esibizione verrà avviata una parte dei lavori di ristrutturazione: un’impresa quasi titanica da 100 milioni di euro che trasformerà il relitto industriale (messo gratuitamente a disposizione della comunità per l’evento) in ristoranti, locali, negozi, abitazioni e molto altro ancora.
Una mostra nella mostra: al di là delle opere, lo stesso itinerario nel cuore della Meelfabriek è suggestivo (alle famiglie con bambini il suggerimento è di fare molta attenzione). È un percorso “precario” in mezzo al desolante vuoto di scheletri di cemento armato abbandonati nel 1987 per ragioni economiche. Polveri, vetri, scale al limite della sicurezza accompagnano il visitatore alla scoperta di un’arte contemporanea che, in alcuni casi, è soprattutto denuncia. Come quella del 53enne africano Romuald Hazoumé, uno dei pochi che è nato, abita e lavora nello stesso posto: il Benin. La sua installazione si intitola NGO SBOP. E include un video nel quale egli chiede ai connazionali un contributo per aiutare i bianchi. Perché nel paese ci sono 10 milioni di abitanti ma qualcosa come 3.000 associazioni non governative che vogliono contribuire al benessere della nazione. Peccato che dietro queste organizzazioni, informa l’artista, si nascondano ben altri interessi. “Oh… e la gente ha devoluto soldi ai bianchi”, sorride al terzo piano di uno degli undici edifici della Meelfabriek.
Due americani del collettivo Ghana Thinktank che hanno lavorato nel mondo della solidarietà internazionale si sono spinti oltre. Hanno raccolto pareri in diversi paesi del presunto terzo mondo su come aiutare quelli del primo a risolvere i loro problemi. Alcune risposte sono esilaranti e costituiscono un duro colpo non solo all’ipocrisia, ma anche all’arroganza del mondo cosiddetto “civile”. “Alle volte creiamo più problemi di quelli che troviamo”, dicono i due. Per non dire delle formidabili testimonianze raccolte dagli artisti a Leiden dove fra i disagi (tutto documentato) sono stati citati l’aggressività dei gabbiani e l’invadenza dei gatti. Di più: molti abitanti, una volta messi al corrente dell’obiettivo dell’intervista, non se la sono sentita di gravare con le loro lagnanze su popolazioni sicuramente messe peggio. Una arroganza benevola, peraltro quasi certamente diffusa e molecolare in tutto l’Occidente.
Spettacolare, non fosse altro per l’idea, l’opera della 33enne olandese Femke Herregraven. Con Taxodus consente a chiunque, attraverso uno specifico programma ed una grafica appropriata, di immedesimarsi in una multinazionale ed escogitare i sistemi (almeno quelli finora noti) per evitare di pagare le tasse. Olandese ma residente in Belgio, Marjolijn Dijkman propone, tra le altre installazioni che ha firmato per la mostra, un suggestivo pendolo sempre in movimento che “disegna” sulla sabbia nuove i diverse suggestioni. Con 50.000 sacchetti di plastica (14 metri di opera), Pascale Marthine Tayou On, che si divide tra Camerun e Belgio, ha creato la variopinta “Plastic Bags”: per osservarla dall’alto è necessario fare molta attenzione e non soffrire troppo di vertigini. E con Tintin Wulia, un’indonesiana trasferita a Brisbane, in Australia, anche il pubblico è invitato a “colorare” il mondo: con le piante. Il titolo dell’opera è tratto dal “Piccolo principe”: “Nous ne notons pas le fleurs” (non notiamo i fiori). L’immagine simbolo di “Global Imaginations”, quella scelta dagli organizzatori (tutte donne le curatrici) per la promozione, è di Meschac Gaba: “Citoyen du Monde”. Un messaggio di pace di tolleranza perché contiene i colori di tutte le bandiere delle nazioni del pianeta. La mostra resta aperta fino al 4 ottobre. Il costo del biglietto d’ingresso è di 7,5 euro (fino a 18 anni si entra gratis). Anche l’orario di visita sembra una provocazione: solo dal mercoledì alla domenica tra mezzogiorno e le 18.
Mattia Eccheli